La rivoluzione digitale ha vinto.
L’accelerazione finale di rivoluzione garbata si deve all’adozione generalizzata della nuova interfaccia touch e alla conseguente disseminazione di una nuova generazione di devices come gli smartphone e i tablet. Tanto è vero che l’iPad è ormai l’indiscussa icona del nuovo digital lifestyle, il totem della nuova dimensione mediale, l’arma finale con cui le tribù digitali assediano l’analogico fortino della scuola.
Perché il tablet è intelligenza, leggerezza, curiosità, bellezza, divertimento. Il tablet lo tocchi e sei operativo (in classe, in piazza, in aereo, in balcone, a letto). Il tablet, con una robusta copertina, si apre come un diario, si usa come un quaderno, si legge come un libro, si appoggia in ogni dove (sulle ginocchia, sul banco, sullo scalino, sul piumone), si ripone in qualsiasi zainetto. Con il tablet la scrittura diventa fluida, vaporosa, svelta, musicale. Con il tablet la lettura diventa più facile e gradevole: si può orientare la pagina, ingrandire i caratteri, regolare la luminosità, sottolineare, evidenziare, chiosare, commentare, condividere, tradurre, ricercare. Un tablet fa da biblioteca, da astuccio, da block notes, da laboratorio linguistico, da enciclopedia, da atlante, da dizionario. Con il tablet puoi disegnare, fotografare, filmare, registrare, ascoltare e fare musica. Con il tablet puoi tessere intriganti relazioni sentimentali : puoi leggere Coleridge ascoltando Chopin e sfogliando di tanto in tanto le malinconiche vedute di Frederich. E se in classe il prof accenna al taylorismo, in due secondi ti ritrovi il Chaplin di Tempi moderni che in dieci minuti ti spiega l’alienazione come meglio non si potrebbe in dieci ore di lezione frontale. Perché per navigare, surfare, cercare, condividere, e taggare un tablet non ha rivali.
L’unico vero concorrente del tablet è lo smartphone, soprattutto per i ragazzi che lo trovano più mobile e più trendy. Ma fra uno smartphone di 5-6 pollici e un tablet di 7-10 pollici la differenza è minima e la sostanza è la stessa. Ci troviamo in ogni caso di fronte ad un talismano che marca definitivamente la dissonanza fra due mondi, fra quello degli adulti e quello dei ragazzi, fra quello degli insegnanti e quello degli alunni, fra chi ha studiato il mondo passeggiando silente nei chiostri delle biblioteche e chi è nato con il mondo in mano.
E la scuola, come si pone di fronte all’onda lunga di questa pacifica invasione?
A parte l’ossimoro della sperimentazione perenne portata avanti da qualche volonteroso alchimista dei bit convertitosi anzitempo al verbo dei nativi, il mondo della scuola per il momento, appare ancora lontano dall’aver colto l’opportunità dello tsunami tecnologico per mettersi al passo coi tempi, per inserirsi finalmente nel flusso giovanile della vita reale, per cercare di sfruttare le nuove potenzialità mediatiche in vista di un ripensamento delle visioni pedagogiche e delle consuetudini didattiche. Nella sostanza, infatti, le nostre scuole sono rimaste il regno dell’istruzionismo, dell’auditorium (io parlo e tu ascolti), della comunicazione unidirezionale, dei banchini allineati e coperti dentro aule allineate e coperte dove l’unica tecnologia tollerata è lo smartphone che i ragazzi tengono falsamente spento in tasca o sotto il banco. (da un saggio che sto preparando per la pubblicazione su…)